Se un problema ha una soluzione, perché ti arrabbi? La saggezza di mio padre e l’arte di lasciar andare.Riflessioni sul rallentare e vivere consapevoli

“Figlio mio, se un problema ha una soluzione, perché ti arrabbi? E se un problema non ha una soluzione, perché ti arrabbi?”. Questa frase, un mantra che mio padre mi ripeteva con la sua calma serafica, è diventata una delle lezioni più preziose della mia vita. Un’eredità non di beni materiali, ma di una saggezza profonda che affonda le sue radici in antiche filosofie orientali e che, ancora oggi, mi guida attraverso le inevitabili tempeste dell’esistenza. Nel nostro viaggio su Sentieri-Komorebi, esploriamo oggi insieme il cuore di questa domanda, per capire non solo perché ci arrabbiamo, ma come possiamo trasformare questa emozione potente in uno strumento di crescita.

La rabbia, quella vampata di calore che sale al petto, la mente che si annebbia e le parole che si fanno affilate come lame. È un’emozione umana, naturale, un segnale che qualcosa, secondo noi, non va. Ma quante volte questa emozione, anziché spingerci verso una soluzione, ci imprigiona in un circolo vizioso di frustrazione e sofferenza?

La semplice e disarmante logica della domanda di mio padre ci invita a una pausa, a un respiro profondo prima della reazione. Ci costringe a guardare il problema per quello che è, spogliato dalla carica emotiva che gli abbiamo cucito addosso. E in questa pausa, in questo spazio di quiete, possiamo iniziare a scorgere un sentiero diverso.

L’Eco di Antichi Saggi: da Shantideva allo Stoicismo

Questa perla di saggezza paterna non è un’invenzione isolata, ma l’eco di un pensiero che ha attraversato secoli e culture. La sua origine più nota risale all’VIII secolo, al monaco buddista indiano Shantideva, che nella sua opera “Bodhicaryāvatāra” scrisse: “Se si può rimediare a una situazione, perché mai essere di cattivo umore? E se non vi si può rimediare, a che serve essere di cattivo umore?”. Un concetto ripreso e diffuso anche dal Dalai Lama.

Questo pensiero risuona potentemente anche con i principi dello Stoicismo, la scuola filosofica greca che ci insegna a distinguere tra ciò che è in nostro potere e ciò che non lo è. Per gli stoici, come Seneca e Marco Aurelio, la serenità (apatheia) si raggiunge concentrando le nostre energie su ciò che possiamo controllare – i nostri pensieri, i nostri giudizi, le nostre azioni – e accettando con equanimità tutto il resto. Arrabbiarsi per un volo cancellato o per la pioggia durante una giornata di vacanza è, in quest’ottica, un dispendio inutile di energie emotive, un vano tentativo di controllare l’incontrollabile.

La Psicologia dell’Accettazione: Lasciar Andare per Ritrovare Se Stessi

Al di là della filosofia, la psicologia moderna conferma i benefici di questo approccio. L’accettazione non è rassegnazione passiva, ma un riconoscimento attivo della realtà del momento presente. È smettere di lottare contro ciò che non possiamo cambiare, liberando così preziose risorse mentali ed emotive.

Quando ci aggrappiamo alla rabbia, il nostro corpo è in uno stato di allerta costante, inondato da ormoni dello stress come il cortisolo. A lungo andare, questo stato di tensione può avere effetti deleteri sulla nostra salute fisica e mentale. L’accettazione, al contrario, ci permette di:

  • Ridurre lo stress e l’ansia: Smettendo di opporre resistenza alla realtà, il nostro sistema nervoso può finalmente rilassarsi.
  • Migliorare la lucidità mentale: Con una mente più calma, siamo in grado di valutare la situazione con maggiore chiarezza e di individuare eventuali soluzioni creative che la rabbia ci aveva precluso.
  • Aumentare la resilienza: Imparare ad accettare le difficoltà ci rende più forti e capaci di affrontare le future sfide della vita con maggiore equilibrio.

Dall’Impulso alla Consapevolezza: Strumenti Pratici per Gestire la Rabbia

Ma come possiamo, in pratica, applicare questa filosofia quando la rabbia bussa con prepotenza alla nostra porta? Ecco alcuni sentieri da esplorare, in pieno stile Komorebi:

  1. La Pausa Consapevole (Mindfulness): Quando senti l’onda della rabbia salire, fermati. Non reagire d’impulso. Porta l’attenzione al tuo respiro, senti l’aria che entra e che esce. Osserva le sensazioni fisiche della rabbia nel tuo corpo senza giudicarle. Questa semplice pausa crea uno spazio tra lo stimolo e la tua risposta, uno spazio in cui puoi scegliere come agire.
  2. La Domanda del Saggio: Poni a te stesso la domanda di mio padre, la domanda di Shantideva. “Questo problema ha una soluzione?”.
    • Se la risposta è sì, allora canalizza l’energia della rabbia non in una sfuriata distruttiva, ma in un’azione costruttiva. Cosa puoi fare, concretamente, per risolvere la situazione? La rabbia si trasforma così in determinazione, in spinta al cambiamento.
    • Se la risposta è no, allora il tuo lavoro è interiore. Si tratta di accettare la realtà, di lasciar andare la pretesa che le cose debbano andare come vuoi tu. Questo non significa che il dolore o la delusione spariscano, ma che puoi accoglierli senza esserne travolto. Puoi concentrarti su come arginare il problema, su come conviverci nel modo più sereno possibile.
  3. Ristrutturazione Cognitiva (Cognitive Reframing): Spesso la nostra rabbia è alimentata da come interpretiamo una situazione. Frasi come “Lo fa apposta per farmi arrabbiare!” o “È sempre la solita storia!” gettano benzina sul fuoco. Prova a riformulare questi pensieri. Esistono altre possibili interpretazioni? Forse quella persona sta avendo una giornata difficile. Forse non c’è un’intenzione malevola dietro le sue azioni. Mettere in discussione i nostri pensieri automatici può smontare la rabbia alla radice.

La prossima volta che ti sentirai avvampare di rabbia, ti invito a fermarti un istante e a sentire l’eco di queste parole. Non come un rimprovero, ma come un invito gentile a ritrovare il tuo centro, la tua pace. Un invito a percorrere il sentiero della saggezza, dove ogni problema diventa un’opportunità: l’opportunità di agire o l’opportunità di accettare. In entrambi i casi, l’opportunità di crescere.


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