In uscita il 1° Dicembre 2025 🎄





Sādhanā
Cosa resta di una vita messa in pausa per sette anni?
Quando Jaime “Jim” Pontecorvo si risveglia dal coma, il mondo che conosceva non esiste più. I suoi genitori sono morti nell’incidente che lo ha quasi ucciso, e del suo futuro da brillante neolaureato milanese non restano che frammenti. L’unica cosa che gli resta è una promessa: un viaggio attraverso l’Eurasia per raggiungere Mae-sang, l’amore della sua giovinezza, in Vietnam.
Con uno zaino, un diario e la rabbia di chi ha perso tutto, Jim inizia quella che crede una fuga. Ma la sua corsa verso Est si trasforma presto in una discesa agli inferi e, infine, in un inaspettato pellegrinaggio laico. Spogliato di ogni certezza da un pestaggio a Istanbul , forgiato dalla fatica estrema in Anatolia , messo alla prova dal gelo mortale del Pamir , Jim impara sulla propria pelle che per sopravvivere non basta la ragione, ma serve un fuoco da tenere acceso dentro di sé. ( in arrivo a primavera 2026 )
Sādhanā è un potente romanzo di formazione e avventura che attraversa deserti, templi e metropoli, ma soprattutto i confini fragili dell’anima. Un’odissea che costringe un uomo a perdere tutto ciò che credeva di essere per scoprire la persona che è destinato a diventare. Perché la vera casa, a volte, non è un luogo da raggiungere, ma il cammino stesso
Una storia di rinascita che colpisce dritto al cuore. L’inizio è molto forte, quasi un pugno nello stomaco, ma è fondamentale per apprezzare tutto il percorso di trasformazione del protagonista. È una lettura che fa riflettere molto sulla resilienza e sul trovare di nuovo il proprio posto nel mondo.
Marco
Scritto magnificamente, ti fa sentire parte dell’avventura. Sembra davvero di essere lì con il protagonista. Le descrizioni dei luoghi e delle atmosfere sono così vivide e realistiche che ti sembra quasi di sentire i profumi e i rumori. Si percepisce che l’autore conosce davvero le sensazioni che descrive.
Dario
Ho avuto qualche anteprima,un capolavoro.non solo una magnifica avventura,ma un libro da tenere in borsa,per sfogliare qualche pagina quando hai bisogno di un bel pensiero
Giorgio
La vera forza del romanzo è l’evoluzione del protagonista. È stupendo seguire la crescita interiore del personaggio principale. All’inizio è un uomo spezzato, quasi cinico, ma attraverso le innumerevoli sfide che affronta, lo vediamo letteralmente ricostruirsi. È una trasformazione profonda, credibile e di grande ispirazione.
Maria
Leggi le prime pagine
CAPITOLO 1
Il Viaggio della Vita
settembre 2004
La testa di Jim pesava appena sulle gambe di Mae. L’aria del dieci settembre a Milano aveva ancora il sapore pigro dell’estate. Sulla pelle, era un’ultima carezza tiepida prima dell’autunno, e Jim la assaporava con gli occhi chiusi.
Mae era bellissima. Indossava un abito di lino bianco che faceva risaltare la sua pelle ambrata. I capelli neri, appena tagliati, cadevano in una linea netta e lucida sotto le spalle. Aveva quella grazia naturale che tutti ammirano, la ragazza che chiunque vorrebbe avere nella propria cerchia di amici. La panchina in cemento era senza schienale: lei si reggeva con un braccio alla seduta, mentre con l’altra mano giocherellava tra i capelli di Jim.
«Non mi sembra vero. Abbiamo finito»
«Tu hai finito, Mae. Io ho fatto medicina, ricordi? Ho l’esame di stato e la specializzazione. Altri sei anni.»
«Verrai pagato, consideralo come un lavoro, Jim.»
«Facciamo che per adesso non considero niente. Pensiamo al viaggio, dai.»
«Va bene…» disse lei, in tono un po’ esasperato, fissando un punto indefinito sopra le loro teste. «Cosa ti aspetti da questo viaggio?»
Lui restò in silenzio, gli occhi persi nel cielo lattiginoso di Milano. Poi li abbassò su di lei, incatenandoli ai suoi. «Parli dei posti che vedremo o di noi due?»
«Di tutto» rispose Mae, con una serietà leggera ma sincera.
Jim sorrise e chiuse di nuovo gli occhi. «Dal viaggio mi aspetto finalmente un po’ di riposo. Voglio stupirmi, vedere il mondo con i miei occhi e staccarmi un po dai libri. E da noi due… che ci divertiamo a viverla insieme, senza pensarci troppo.»
Lei non rispose subito. Le scivolò dalle labbra un sospiro impercettibile, e nei suoi occhi si spense un riflesso di luce. Lo sguardo le si fece pensieroso, quasi vulnerabile. Jim se ne accorse: si mise a sedere di scatto, le prese il viso tra le mani e la baciò con dolcezza. «Lo sai che non sono bravo in queste cose, Mae.»
Lei sorrise appena, come per perdonargli quella goffaggine.
Erano stati proclamati dottori da poco: lei in Scienze Storiche due settimane prima, lui in Medicina e Chirurgia soltanto due giorni fa, all’età di ventisei anni. La sua festa con gli amici era stata un turbine di birra, abbracci e promesse urlate. Una festa d’obbligo di cui adesso rimaneva poco o nulla a parte un leggero mal di testa.
Mae tornò a sorridere. «Spero che nello zaino tu abbia messo il nostro taccuino…» disse con tono fintamente severo. «Non dimenticartelo, mi raccomando. Il Sādhanā.»
Quel quaderno era diventato la loro Bibbia del viaggio. Lo avevano trovato l’anno prima su una bancarella di libri usati ai Navigli: carta spessa, rilegatura a mano, copertina di pelle scura e morbida. In quelle pagine Mae aveva riversato mesi di ricerche, tracciando con cura quasi ossessiva ogni passaggio: bus, sentieri, voli low-cost, jeep, templi. Non era una guida, ma un manifesto. La prova concreta del suo desiderio di trasformare il viaggio in qualcosa di più di una semplice avventura: un cammino interiore.
Jim roteò gli occhi al cielo, fingendo esasperazione. «Ah, la nostra Sacra Bibbia… certo che l’ho messa. Anche se continuo a pensare che sia un’eresia.»
Mae si chinò su di lui, il volto a pochi centimetri dal suo. «Eresia? Ci ho passato più tempo che sulla tesi! Solo l’idea di partire senza un sentiero tracciato mi dà i brividi.»
«Ma è proprio questo il punto!» replicò lui, animandosi. «Il sentiero non esiste finché non lo cammini. Conta solo la partenza, Milano, e la destinazione, il Vietnam. Tutto quello che c’è in mezzo si scopre per strada. È l’unica vera ricerca. Hai studiato il percorso talmente tanto che per te sarà come fare il viaggio due volte»
Lei lo guardò, sorridendo e scuotendo la testa. «Se fosse per te, basterebbe un passaporto e una direzione: Est.»
«Esattamente!» disse Jim, con un lampo negli occhi. «Se l’obiettivo è solo arrivare, tanto vale prendere due biglietti per Ho Chi Minh: dieci ore di volo e ci siamo. Tempo e fatica risparmiati.»
Mae lo colpì con una spintarella affettuosa alla spalla, un gesto leggero ma carico di un finto rimprovero che gli fece increspare le labbra in un sorriso. «Sei insopportabile», mormorò, ma i suoi occhi ridevano.
Quel semplice scambio era il simbolo perfetto delle loro due anime, due mondi che si toccavano senza mai fondersi del tutto. Lei era una studiosa dell’Asia umanistica e spirituale; vedeva il mondo come un tessuto di storie, significati e connessioni invisibili. Per Mae, un viaggio non era uno spostamento, ma un cammino dell’anima. Lui, invece, aveva una mente forgiata dalla diagnosi e dalla scienza, un osservatore pragmatico abituato a cercare cause ed effetti tangibili, non significati nascosti. Gli anni di medicina lo avevano convinto che gli esseri umani sono macchine meravigliosamente complesse: i loro cuori solo motori, i loro pensieri impulsi elettrici. Se si possono aggiustare, ci si lavora con precisione e distacco; altrimenti, si constata il guasto e si passa ad aggiustare la macchina dopo. Questa era l’unica, inscalfibile filosofia di Jim Pontecorvo. L’idea di seguire un sentiero in Asia con lo scopo di “elevarsi spiritualmente” gli sembrava un’assurdità, un’inefficienza. Jim si piaceva così, con la sua logica affilata come un bisturi, con la sua visione del mondo pulita, ordinata e priva di fantasmi.
Era stata Mae, con la punta di un taglierino, a incidere sulla copertina quella parola: Sādhanā.
«È sanscrita» spiegò qul giorno, gli occhi che brillavano. «Significa disciplina, pratica interiore, cammino che trasforma. Non è una parola: è un percorso. Per questo l’ho scritta lì. È quello che stiamo per fare.»
Poi si fece seria. «Il vero significato non si può spiegare. Si pratica, e quando lo vivi, ti cambia la vita.»
Jim rise. «Detta così sembra una minaccia.»
Lei gli tirò i capelli. «È una promessa. Sei pronto a fartela cambiare, questa vita?»
«Prontissimo» rispose lui, baciandola ancora. «Ma ora devo scappare. Vado al patibolo.»
«Il patibolo?»
«Cena con i miei. Al Biffi. Mi aspettano domande e brindisi imbarazzanti.»
Lei rise. «Sopravviverai. Allora a lunedì. Stazione Centrale, ore sette.»
«Centrale. Ore sette» confermò Jim, sentendo un brivido di pura adrenalina. «Il viaggio della vita.»
~
Il Ristorante Biffi, incastonato come un gioiello antico nella Galleria Vittorio Emanuele II, era il palcoscenico perfetto per la celebrazione di Dario Pontecorvo. Laureare un figlio in Medicina meritava il cuore pulsante di Milano.
Quando Jim arrivò, i suoi genitori erano già seduti. Dario, energico e impeccabile nell’abito sartoriale; Antonella, elegante e discreta, che tormentava il tovagliolo tra le dita.
«Eccolo!» tuonò Dario. «Il nostro Dottore!»
La cena si snodò tra aneddoti, risate e le solite, amorevoli ma soffocanti preoccupazioni per il viaggio. Alla fine arrivarono i regali. Dario estrasse una busta spessa e la posò davanti a lui. «So che è una follia costosa, questa tua avventura. Almeno non finirai a chiedere l’elemosina davanti alla Centrale.»
Dentro c’erano 3.000 euro. Jim trattenne il fiato: quella busta cambiava tutto. Poi fu la volta di Antonella: un portafoto d’argento con dentro la foto di lui bambino, appena adottato, felice tra le loro braccia.
«Portalo con te» disse piano. «Così resteremo vicini.»
Jim annuì, il cuore stretto in un groviglio di gratitudine e desiderio di fuga. «Grazie. È bellissimo.»
All’uscita dal Biffi, l’aria frizzante della sera li avvolse. Camminarono nella Galleria illuminata, Dario che gesticolava parlando di politica, Antonella che lo invitava ad abbassare la voce. Jim li seguiva a un passo di distanza, diviso tra amore e un bisogno feroce di libertà.
Salirono nella vecchia Alfa 156 di suo padre, parcheggiata in Via Silvio Pellico. L’abitacolo odorava di pelle e tabacco da pipa. Dario infilò un CD dei Beatles e le prime note di Come Together riempirono la macchina. Lui e Antonella iniziarono a canticchiare, stonati e felici. Jim, dal sedile posteriore, sorrideva.
Imboccarono lenti Via Mengoni. A metà della svolta, uno scooter senza casco sfrecciò a tutta velocità, tagliando loro la strada. Dario inchiodò: l’Alfa rimase intraversata, il fianco esposto sulla corsia opposta.
Un autobus giallo della linea 54 comparve come un gigante lanciato a tutta forza. L’autista, distratto da una discussione con una passeggera, non vide l’auto se non all’ultimo istante.
Il colpo arrivò di lato. Non fu un semplice urto: fu una dissezione brutale. Il bus tranciò l’Alfa a metà, separando la cellula anteriore dal resto come fosse carta.
La parte davanti, con Dario e Antonella intrappolati, venne strappata via e trascinata per metri, fino a incastrarsi sotto il telaio del colosso. Il metallo urlò, le lamiere si contorsero e in pochi istanti quel che restava fu ridotto a un blocco informe, stritolato senza pietà.
Il moncone posteriore, con Jim, fu scagliato di lato contro lo spigolo vivo di un palazzo. L’urto lo sbalzò di traverso, la testa che sfondava il finestrino in una pioggia di vetri.
Un lampo di dolore acuto, un suono secco, e poi solo buio.

