




L’incantatore di sogni
Parigi, 1923. Leonard Lacroix ha un dono terribile: i suoi sogni prevedono il futuro. Solo Arianne, la ragazza che ama da sempre, sa interpretarli. Ma alcuni incubi non dovrebbero mai essere decifrati.
In una Parigi che vibra al ritmo febbrile dei “Roaring Twenties”, Leonard e Arianne formano una squadra imbattibile. Grazie alle visioni di lui e all’intuito di lei, riescono a sventare tragedie e a salvare vite, muovendosi nell’ombra di una città piena di luci e segreti. Ma ogni vita salvata ha un prezzo, e il dono di Leonard inizia a esigere un tributo sempre più alto, minacciando di consumare la sua anima e il suo amore per Arianne. Il destino del mondo è legato a un singolo, terribile evento che solo lui può innescare. Per salvare milioni di vite, dovrà diventare un mostro, compiendo un atto che potrebbe cambiare il corso della storia per sempre, ma che rischia di fargli perdere tutto ciò che ama.

Bel romanzo fantasy , la storia è coinvolgente, la descrizione dei luoghi è dettagliatissima tanto da sembrare di esserci immersi, la lettura scorre fluida fino alle fine del libro.
Consigliatissimo!
Oriade
Un libro d’esordio che stupisce e “incanta” davvero, per gli amanti delle storie in cui realtà e sogno si confondono. Super consigliato. Buona lettura!
Michela
Un libro che conquista pagina dopo pagina sorprendendo con un finale del tutto inaspettato. Molto interessante l’ambientazione negli anni 20/30 resa ancora più affascinante dalle dettagliate e precise descrizioni dell’autore.
Isabel
Sorprendente ben scritto Un buon libro è come un buon cognac serve a lavare l’anima da certi tormenti. Consigliato
Robert
leggi le prime pagine
CAPITOLO 1
Il profilo basso del cielo di Strasburgo era trafitto da un esercito di comignoli appuntiti che fendevano la bruma della sera. Quella sera di ottobre le urla delle persone si mescolavano ai fischietti dei gendarmi che accorrevano verso la piazza cittadina. Come falene impazzite nella notte, le guardie erano richiamate dalle fiamme che implacabili, divoravano il legno divelto dei resti del palco a lato della cattedrale del Notre Dame de Strasbourg. L’aria in piazza Château era tinta di rosso e le fiamme divampavano in un tramonto triste color sangue. Un odore acre di legno bruciato e di panico si mescolava al sapore metallico della paura. Bandiere bruciate a terra venivano calpestate dalla folla terrorizzata che correva in nessuna direzione.
Tra il crepitio del fuoco e una nevicata di frammenti di carta bruciata, una figura camminava lenta. Passi sicuri e misurati rendevano l’aspetto di Leonard Lacroix terrificante, quasi fosse egli stesso la morte che camminava tra le fiamme. Con i suoi ventisei anni, Leonard aveva quel viso che affascina e spaventa nella stessa misura, tanto bello quanto freddo. Con tanta fuliggine sul viso, quanta sul cuore, appariva di almeno dieci anni più vecchio.
Certo è che Leonard Lacroix, in quel martedì di Ottobre del 1932, nell’apice di quella consapevolezza a cui si arriva una sola volta nella vita, aveva azionato l’ordigno a distanza ferendo a morte la città. Come un Dio cattivo aveva punito con una sentenza di morte senza nemmeno l’appannamento di un rimorso. Un uomo disse d’averlo visto prendere un pendaglio dalla tasca e di esserselo messo al collo prima di sparire nella notte. “Il suo sguardo era freddo e accogliente come la lama di un coltello”, aggiunse al gendarme che raccoglieva le testimonianze il giorno dopo.
⊰ ⊱
Si dice che un uomo sia la sommatoria degli eventi passati che compongono la propria vita. Leonard Lacroix era la sommatoria di un’esistenza tragica e paradossale, al limite della realtà comunemente condivisa.
Gli eventi che lo portarono quella sera a Strasburgo, presero corpo all’incirca una decina di anni prima, in una primavera parigina del 1923.
⊰ ⊱
CAPITOLO 2
Aprile 1923
Quell’anno la primavera di Parigi era intenta a giocare col prato della scuola, non curandosi minimamente del giovane Leonard coricato al centro del verde. L’edificio scolastico se ne stava in disparte; la sua architettura neobarocca era formale e seria, con una fila ordinata di finestre tutte uguali. Aveva sbarre in ferro nero che ricordavano più che altro un vecchio penitenziario. Sul fronte principale si aprivano due ingressi sotto ad un piccolo colonnato; le due porte conducevano all’ala maschile e a quella femminile dell’istituto.
Le sferzate del vento, ora più decise, disegnavano onde ritmiche sui giovani fili d’erba ed il ragazzo non poteva fare a meno di pensare al mare. Non che sia un grande esperto del mare, certo: l’aveva visto una sola volta a nove anni per il suo compleanno. Il padre l’aveva portato a Montpellier, a casa di un amico di famiglia. Fu un agosto particolarmente caldo e l’unico riparo da quella calura opprimente era il refrigerio del mare, ma per quanto si sforzasse, l’acqua si ostinava a non sorreggerlo. Impegnò tutto il pomeriggio nel cercare di imparare a nuotare con pessimi risultati. Ricorda che l’unico accenno di semi-galleggiamento lo ottenne rimanendo pressoché immobile a pancia insù: “coricarsi sul mare”, lo chiamava.
Andava particolarmente fiero di aver visto mare, una fortuna più unica che rara per l’epoca. All’inizio ne aveva parlato con orgoglio agli amici, ma si era reso subito conto che i suoi racconti creavano invidia e non faceva che attirarsi inimicizie. Decise quindi di tenere per sé i ricordi di quell’estate. L’unica eccezione era Arianne: a lei non nascondeva nulla e, non che ci sarebbe riuscito, s’intende: nasconderle qualcosa era pressoché impossibile.
Arianne aveva una capacità innata di leggerlo attraverso gli occhi e di ricavarne la pura verità, ma non gliela sbatteva in faccia. La conservava fintanto che poi non fosse lui a dirgliela. La sua candida semplicità era uno specchio dentro cui Leonard si guardava riflesso, e mentire a sé stessi è praticamente impossibile.
Si erano conosciuti a dieci anni, era stata la madre a presentargliela. Ricorda che prese le mani di entrambi e, mentre le univa, gli diceva che da quel giorno sarebbero stati inseparabili. L’imbarazzo fu tale che il bimbo fuggì e rimase chiuso in casa per due giorni. La madre era sempre stata eccentrica, ma non è mai riuscito a capire perché avesse fatto una cosa del genere. Leonard si era da sempre arroccato dietro alla sua timidezza, sua madre lo sapeva e in qualche modo l’aveva sempre rispettata, eccezione fatta per quel singolo evento.
Una sera la piccola bussò alla porta di Leonard e disse che la madre aveva preparato pan au chocolat e gliene aveva portato uno. Lui rimase a metà della porta semiaperta, mostrando solo metà del viso, senza dire nulla. La madre aprì la porta e lo spinse fuori. “Vai e divertiti”, disse e poi gli richiuse la porta lasciandolo sullo zerbino. La piccola aprì il sacchetto di carta e gli fece vedere i dolci ancora fumanti, ne prese uno e glielo porse con la stessa cautela di chi vuole dare da mangiare ad un lupo. Il piccolo Leonard prese il dolce inventando un sorriso incerto, poi affondò i denti in quel miracolo di pasticceria casereccia. Mangiarono insieme sui gradini della casa di lui in silenzio. Rimase colpito dalla sua spontaneità, sembrava non provare il minimo imbarazzo; al contrario, il suo disagio gli accendeva le gote di un bel rosso vivo.
“È veramente buono”, disse con voce tremante pulendosi dalle briciole. “Ringrazia tua madre da parte mia”.
“Lo farò”, confermò in un bel sorriso furbetto, “Ci vediamo domani!”, buttò lì riassettando la tovaglietta.
Il piccolo si raccolse tra le spalle e fece un cenno impacciato con la testa. Certo che lo desiderava, non aveva mai avuto qualcuno con cui passare le giornate, ma non seppe dire nulla di più. Solo alcuni anni più tardi venne a sapere proprio dalla madre che fu Arianne a cucinargli il pan au chocolat quella sera: “È per il mio nuovo amico Leonard”, disse alla madre tutta intenta ad impastare i dolci.
Sorrise ripensando a quel ricordo godendo delle carezze della primavera coricato con le braccia dietro alla testa. Scrutava con aria seria le nuvole che si inseguivano nello specchio di cielo sopra di lui, il vento le spingeva verso oriente con decisione. L’attenzione si fermò su un cirro sullo sfondo che si apprestava a divorare una piccola nuvola che gli correva incontro.
Il rumore di una sferzata più decisa del vento si mescolò al tintinnio della campanella del pomeriggio. Arianne frequentava da qualche settimana un corso pomeridiano di pittura ad acquerello; lei non gli aveva mai permesso di guardare i suoi disegni ed ogni qualvolta si cadeva sull’argomento, lui si incupiva.
“Non è giusto”, si lagnava il ragazzo in modo volutamente infantile, “in fin dei conti io non ti ho mai nascosto niente!”
“Ho detto di no!”, tagliava corto. Leonard aveva imparato con gli anni che insistere non lo portava a nulla e allora rinfoderava l’argomento per qualche giorno. Rimase alcuni minuti ad aspettarla mentre con le dita della mano giocherellava con un dente di leone, con il braccio sinistro ancora sotto la testa.
“Guarda Leonard che così si rovina!”
Leonard sorrise rimanendo coricato nell’erba. Finalmente era arrivata. Girò la testa all’indietro e le sorrise guardandola sottosopra. Arianne quel pomeriggio era raggiante anche se castigata dalla divisa scolastica. Arianne era alta poco meno di lui ma aveva un corpo sottile ed elegante, le spalle dritte sembravano disegnate per indossare vestiti da sera a spallina, il collo lungo e aristocratico era sempre adornato di un filo di perle chiare, dono dei nonni materni. I capelli castano chiaro erano spesso sciolti, segno di un fare libertino innato. Leonard pensava che raccogliere i suoi capelli in una coda o un chignon era un peccato contro natura.

